La cigliata
Agosto del 2001, mi trovo in vacanza nel Sud della Corsica con la famiglia, moglie e due bambine. La zona è caratterizzata da secche, scoglietti ed isolotti, all’interno del parco naturale di “Les Moines”. Come tutta la zona delle Bocche di Bonifacio, la costa è battuta dal maestrale. La bassa vegetazione, tipica della macchia mediterranea, spesso piegata dal vento, fa da cornice a spiagge e baie con l’acqua turchese. Un bellissimo luogo di vacanza, con la moglie sempre alla ricerca della spiaggetta isolata dove prendere il sole e le figlie che vogliono fare un bagno, poi un altro bagno, poi ancora un bagno, poi … Insomma, di andare a pesca non se ne parla. Passano i giorni e la voglia di provarci cresce.
Al termine di una estenuante contrattazione strappo il consenso ad una uscita di una mezza giornata. Già, ma dove andare? Non conosco la zona, poi c’è il parco, i cui confini vanno rispettati. Alla capitaneria di porto di Figari è esposta una carta nautica. La studio attentamente e la mia attenzione si focalizza in un punto, all’esterno del parco, dove le batimetriche dei 30 e dei 50 metri sono molto ravvicinate e da ciò si intuisce che ci deve essere un bel salto di roccia. Forse l’unico in una zona caratterizzata da fondale piatto, forse fangoso.
Il giorno dopo sono in acqua all’alba. Perdo diverso tempo a procurarmi il vivo. Quando raggiungo la zona prescelta ho qualche bella occhiata che nuota nella vasca.
Subito le guardie del parco vengono a farmi visita, raccomandandomi di non avvicinarmi alla zona protetta, là dove nel mio immaginario sconfinati branchi di dentici e di ricciole nuotano indisturbati su splendide secche rocciose.
Inizio a scandagliare ma il fondo non è come me lo aspettavo. Cala dolcemente, senza salti. Probabilmente sul fondo c’è una prateria di posidonia. Poi, uscendo, il fondale risale e l’andamento è molto più mosso, tipico di un substrato roccioso.
Calo la mia lenza, col piombo guardiano, ed inizio a sondare in profondità. Compio delle curve alla ricerca di quei pesci che sembra proprio non vogliano collaborare. Piano piano inizio ad essere deluso, penso che forse l’intenso traffico nautico del Ferragosto ha spaventato tutti i pesci, penso che tra poco dovrò abbandonare il mio tentativo, è quasi mezzogiorno e mi aspettano per pranzo.
Poi, improvvisamente, l’ecoscandaglio marca una grande cigliata. La parete di roccia cade repentinamente dei 34 ai 45 metri di fondo. E’ un ciglio tutto rotto ed il profilo del fondo ha ora brusche impennate ed altrettanto repentine cadute. Incaglio due volte e altrettante volte perdo il piombo guardiano. Di nuovo, il piombo è bloccato sul fondo e torno indietro per mettermi sulla verticale e cercare di recuperare almeno questo.
Improvvisamente sento due testate: questo non è uno scoglio, è un pesce! Ferro con decisione e parte la fuga, lunga e potente, da ricciola di taglia, insomma. Punto verso il largo e miracolosamente riesco ad allontanare il pesce dalle guglie di roccia. Ora, nel blu profondo, il combattimento può essere condotto con maggior sicurezza.
Infatti, dopo una ventina di minuti, scorgo la sagoma della ricciola che nuota girando intorno, una ventina di metri sotto la barca. Metro dopo metro recupero la lenza fino a portare il pesce al raffio. E’ una bella ricciola di 20 chili, il premio per essere riuscito ad individuare sulla carta nautica la zona dove concentrare l’azione di ricerca del pesce. O almeno, mi piace pensare che è il frutto del mio intuito di pescatore, anche se forse è stata la dea bendata a metterci lo zampino.